Partire da casa, fare il giro delle Dolomiti e tornare. Un’avventura. Come quando si era piccoli e ci si tuffava nel gioco senza esitazione.
Cosa saranno mai quei quasi 600km a fronte di tanta meraviglia? Solo nel 2009 l’Unesco le ha promosse come patrimonio dell’umanità…
Da un punto che non ci è dato sapere Antonella Vial ci accompagna, lei che questa avventura l’ha concepita – estate 2010 – durante il viaggio in bici da Padova a Londra, e ha dato avvio alla giostra che ci ha condotti fin qui.
Da una recente pagina di Vito Mancuso una frase, un motto: “Sorridi, anche se non c’è motivo. Il motivo arriverà”. Avrebbe potuto essere di Antonella, perché è questo suo sorriso che rimane, senza dubbio anche in chi l’ha incontrata solo per qualche minuto.
Oggi grazie al lavoro di Skybike e della Associazione Donna Antonella, questo percorso è stato interamente mappato e segnalato.
Il simbolo che vedete di fianco accompagnerà i cicloviaggiarori che lo percorreranno.
Primo giorno, Padova – Grigno (circa 95 km)
Cominciamo a pedalare appena fuori dal centro città imboccando il percorso dell’anello Fluviale di Padova lungo argini conosciuti . Arrivati a Limena prendiamo il nuovo percorso ciclabile del Brenta. Da qui si guardano con occhi diversi le montagne verso nord: presto non saranno più così lontane.
Quando si arriva a Cittadella è ora buona per un caffè, e per dare un’occhiata al piccolo centro storico raccolto entro mura perfettamente conservate (1220): raro esempio di sistema difensivo medioevale con camminamento di ronda ancora interamente percorribile. Impianto urbanistico romano: le quattro porte di accesso alla città (Porta Padovana, Porta Vicentina, Porta Bassanese, Porta Trevisana) sono collocate nei 4 punti cardinali, in corrispondenza delle 2 traverse che delimitano l’abitato in quartieri. All’ingresso della Porta Padovana campeggia un affresco che evoca la natura agricola del territorio: un carretto stilizzato – rosso su bianco – stemma inconfondibile dei Carraresi, antica signoria padovana.
Bassano: dà un senso di libertà iimpagabile attraversare i centri storici a cavallo della propria bicicletta – inutile dire che in automobile è tutta un’altra storia. Pausa foto dal mitico ponte di legno, col rumore dell’acqua del Brenta che scorre impetuosa.
Si può dire che siamo ai piedi dei monti, e da qui si inizia a risalire la Valsugana lungo il Brenta. Risalire (in bici) è azione contraria al defluire (del fiume). Da qui, ovvio, le borse da viaggio cominciano a far sentire il loro peso. Dapprima impercettibile, poi… bisogna farsene una ragione.
Attraversiamo una manciata di paesini incupiti dalla scarsa luce che arriva in fondo valle, ma riscattati dall’elemento vitale dell’acqua che nutre Campolongo, San Nazario, Valstagna – luoghi di nascita e palestra di campioni internazionali di kayak.
La pista ciclabile vera e propria inizia dalla birreria al Cornale, bici-grill, tappa obbligata se non altro per una pausa-toilette. E per ascoltare ottima musica vintage! Fino a Grigno la ciclabile immersa nel verde si snoda placida lungo l’argine destro del fiume. Bisogna fare attenzione alla segnaletica, purtroppo non sempre chiara, per arrivare a Grigno, che si trova sul versante opposto del fiume.
Mancano un paio di km alla meta. Alla luce del tramonto, poco prima di salire in paese, l’acqua del Brenta merita senz’altro un bagno corroborante.
Secondo giorno, Grigno – S.Michele all’Adige (circa 85 km)
Si riparte in leggera discesa dal centro del paese fino a riprendere la ciclabile lungo il fiume Brenta, direzione Trento, passando per Borgo Valsugana, Caldonazzo e Pergine Valsugana. Siamo in Trentino e lo si nota anche dallo stato di manutenzione della ciclabile, ahimè ben più curata di quella “nostra”, quella Veneta. Comincia ad aprirsi la valle, e appaiono serre di fragole e distese di alberi di pere, albicocche, mele.
E mele ancora, tante! Sembrano non finire mai. la ciclabile ci finisce dentro, e ci resta per un bel po’ prima che le indicazioni rivelino la località di Caldonazzo – stupendo pedalare a bordo lago.
E’ utile sapere che in centro paese c’è una officina di riparazione bici che vende anche articoli affini. E’ altresì utile sapere che c’è una stazione dei treni: qui passa con frequenza il trenino che va a Trento caricando bici e passeggeri – nel caso qualcuno non se la sentisse di affrontare la salita che da Pergine porta per Forte di Civezzano (bisogna fare attenzione perché la salita – come la discesa fino a valle – è su strada più o meno trafficata, per il resto è fattibile senza particolari problemi).
Dopo la fatica della salita è un sollievo scorgere la città di Trento dall’alto, ed è innegabile piacere raggiungerla in discesa. Attraversando il centro, affiorano ricordi scolastici che legano la storia di Trento alla controriforma, e agli affreschi rinascimentali ancora ben visibili sulle facciate dei palazzi. C’è un bel respiro: piazze assolate con gente seduta ai caffè inducono a una sosta.
La valle che si apre è ampia, e offre un panorama pieno di luce. Costeggiamo sulla ciclabile il fiume Adige, arteria vitale che ci condurrà fino a Bolzano. Autostrade,ferrovie, industrie, coltivazioni (di mele soprattutto, ma non solo)… non manca nulla, e tutto fa pensare a un’economia rigogliosa e in movimento.
Sosta per la notte a San Michele all’Adige, dove si trova l’omonimo istituto di ricerca e formazione in campo agricolo, e il Museo degli usi e costumi della gente tridentina.
Peccato non avere tempo per fermarci di più, ma sarà per un’altra volta: solo Trento e il Muse meriterebbero una sosta di almeno 2 giorni.
Terzo giorno, San Michele all’Adige – Bressanone (circa 80 km)
La ciclabile che risale il fiume l’Adige a volte corre parallela alla statale, altre volte prende il largo e allunga un bel po’ il tragitto che è comunque piacevole.
Ci si rende conto di essere alle porte di Bolzano quando ci si trova a pedalare tra 2 fiumi: l’Adige a sinistra – che tra un po’ ci abbandonerà – e l’Isarco, che sarà il nostro nuovo compagno di viaggio.
E’ una bella suggestione avere acqua a destra e a sinistra, specialmente se ha piovuto da poco, e da queste parti è cosa frequente: colori e odori della natura diventano più intensi, e una bellezza persistente ci accoglie.
Le variopinte aiuole fiorite e tutto il verde di pertinenza del comune di Bolzano sono estremamente curati, come ci si aspettava, ed offrono scorci gradevoli allo sguardo.
Entrando nel centro storico, fra le botteghe si sente il profumo che esce dalle panetterie e qui il pane è proprio buono, con tante varianti di farine integrali e semini di ogni sorta: favoloso con burro e marmellata a colazione! Il centro storico di Bolzano è sempre vivace durante il giorno e merita una sosta, soprattutto d’estate, magari per pranzo. Ripartiti pedaliamo lungo la valle dell’Isarco, leggermente in salita fra scorci incantevoli, gallerie e vecchi ponti in legno, fino ad arrivare a Chiusa. Cittadina deliziosa che merita una sosta, se non altro per dare tregua ai quadricipiti. Proseguendo, il paesaggio naturale circostante ripaga ampiamente la fatica lungo una dolce ma costante salita.
Arriviamo a Bressanone, finalmente. Siamo in piena valle Isarco, a due passi dal Brennero (45km). Tracce di storia (e storie) in ogni angolo legano questa antica città a un elefante; agli affreschi romanici; alle Dame Inglesi; ai castelli; al palazzo vescovile col suo museo di 70 sale… insomma, bisognerà tornare anche qui.
Quarto giorno, Bressanone – Dobbiaco (circa 75 km)
Da Bressanone passiamo davanti all’Abbazia di Novacella senza purtroppo avere il tempo di fermarci e proseguiamo fra fattorie, vigneti e frutteti A Fortezza lasciamo l’Isarco dirigendoci a Rio Pusteria da dove cominciamo a risalire il fiume Rienza, che da qui confluisce nell’Isarco. Siamo in Val Pusteria. Anche oggi tappa in prevalente (ma dolce) salita. A Brunico una sosta è d’obbligo. Prima di ripartire solleviamo lo sguardo per ammirare il suo castello (metà 1200) in cima a una collina. Poco più avanti, nel minuscolo comune limitrofo di Plata c’è un particolare fenomeno erosivo che ha generato le Piramidi di terra: sorta di stalagmiti punteggiate da pietre e sassi come sospesi in un fango chiaro su fondo scuro degli abeti. Magiche! Infatti sono chiamate anche “Camini delle fate”. Pedaliamo ancora fra boschi e suggestive gallerie di pietra, recente memoria di quella che fu una traccia ferroviaria.
Il lago di Valdora riflette frammenti di cime dolomitiche, quanto basta per essere grati di tanta bellezza.
Dobbiaco è una cittadina strategica per posizione geografica, detta anche “Porta sulle Dolomiti”, passaggio obbligato da Venezia alla Baviera. Territorio dominato da celti, romani, ostrogoti. La bagna un rigagnolo d’acqua appena nato, il fiume Drava, che scorrendo oltre confine per oltre 700 km confluirà nel Danubio. Talmente unico da risultare indimenticabile è il complesso del Grand Hotel, nel quale trova dimora il “nostro” Ostello di Dobbiaco, un luogo suggestivo dove passeremo la notte. Favoloso, da girarci un film. Ops, mi dicono l’abbiano già fatto…
Quinto giorno, Dobbiaco – Longarone (circa 85 km)
Giornata che sorge con la promessa riempirci gli occhi di gustarci alla fina un ottimo gelato. Da Dobbiaco costeggiamo l’omonimo lago.
Affrontiamo il passo Cimabanche salendo lungo la Val di Landro. 16 km dicono, valgono bene una sosta (con strudel!) una volta arrivati in cima.
Siamo a oltre 1500 mt, e la temperatura impone di coprirci, anche in vista della lunghissima discesa. Oggi ci godiamo il panorama, davvero uno dei più belli al mondo: siamo nel parco naturale regionale delle Dolomiti d’Ampezzo! Come creste di un drago le cime si stagliano a 360° sullo sfondo di Cortina. Pedaliamo su sterrato con ghiaino a tratti, attraversando boschi di conifere e profumo di felci. Varrebbe la pena fermarsi qui per la notte, per assistere allo spettacolo dell’enrosadira: fenomeno che vede mutare in diversi toni (dal rosa al rosso al viola) le cime delle Dolomiti, soprattutto all’alba e al tramonto. Stiamo seguendo la ciclabile lungo il percorso della ex ferrovia delle Dolomiti (attiva fino al 1964) che univa Calalzo a Dobbiaco passando per Cortina. E’ quasi interamente immersa nel verde. Belle e uniche nel loro genere le case cantonali della dismessa ferrovia.
Scendiamo rapidamente passando da Pieve di Cadore, e seguiamo a tratti la statale
che si alternerà con un po’ di saliscendi a un’altra ciclabile fino alla cittadina di
Longarone. Patria del gelato buono, e teatro di una tragedia incancellabile, che altro dire di
Longarone? Non possiamo non condividere un lutto che ha segnato indistintamente le generazioni a venire di ogni famiglia di questo paese.
Sesto giorno Longarone – Maser (circa 85 km)
Il fiume che ci accompagna ora è il Piave.Dopo un leggero tratto in salita attraversando paesini sconosciuti perché lontani dalla Statale Alemagna e dalle strade principali, si passa Ponte nelle Alpi si arriva al lago di Santa Croce, pieno di barchette ormeggiate e a modo suo familiare a tanti di noi perché facilmente raggiungibile da Padova. Poi ancora laghi, ma più piccoli: il Lago Morto, il Lago del Restello, il Lago di Negrisiola, i laghi di Revine… da qui passa il fiume Soligo, che corre a tratti parallelo alla nostra ciclabile.
Attraversiamo Tarzo, caratterizzato da variopinti murales moderni, e l’antica abbazia cistercense di Santa Maria a Follina.
Ritroviamo la pianura veneta e le sue dolci colline, Valdobbiadene e coltivazioni di vigneti, e aziende agricole dedite alla produzione di vino.
Maser è località conosciuta per la sua pregevole villa Barbaro progettata da Palladio, unica nel suo genere, rientra nella rosa delle ville palladiane proclamate patrimonio Unesco, e contiene al suo interno affreschi a trompe-l’oeil di Veronese, perfettamente conservati.
Settimo giorno Maser – Padova (circa 75 km)
Passando per Asolo (ultima, definitiva salita, ma ne vale la pena: è annoverato tra i Borghi più belli d’Italia) si scende per pranzo a Castelfranco Veneto. Da lì imboccheremo l’argine per seguire la lunga ciclabile del fiume Muson dei sassi.
Castelfranco è un’altra città murata che col suo castello conserva benissimo tracce della sua storia medievale, a partire dalla fondazione intorno al 1200. Patria di Giorgione,conserva nel duomo la sua pala d’altare, dipinto su tavola considerato esempio di riferimento della cosiddetta pittura tonale del ‘500 veneto, così caratteristica per la resa della luce.
La pianura ha il suo fascino, anche se le coltivazioni intensive hanno progressivamente determinato un taglio massiccio delle tradizionali rive di alberi, in uso fino a qualche decennio fa per delimitare le proprietà.
Dopo Bronzola ci trasferiamo sull’argine del Tergola, fiumiciattolo più piccolo immerso in tratti di verde di una bellezza sorprendente. Ancora un poco, prima di rientrare definitivamente nella vita di tutti i giorni. Ci consoleremo brindando con uno spritz: fine dell’avventura!
Grazie ai compagni di viaggio, grazie Antonella!